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Channel: Ezio Partesana – POLISCRITTURE
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Verso la strada degli innocenti

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di Giorgio Mannacio

1.

Un amico filosofo – Ezio Partesana – mi ha segnalato un testo raccomandandomene la lettura.

            Eccone i dati, per chi volesse leggerlo: Precursori dello sterminio – Binding e Hoche all’origine dell’“eutanasia” dei malati di mente in Germania – a cura di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti, Ombre corte, Città di Castello 2012 (€ 12,00 ). Si tratta di un libro di ridotte dimensioni (93 pagine compresa la bibliografia ) ma validissimo nei suoi contenuti. Ecco le ragioni di tale giudizio. Per una fortunata coincidenza lo scopro nel Giorno della Memoria, che tiene insieme in vario modo – sempre altamente drammatico – Storia e Cultura. In questa esigua pubblicazione si affronta un tema che – uscendo dalla specificità della vicenda dello Sterminio – penetra nei problemi dell’eutanasia e dei cosiddetti diritti di nascere, vivere e morire. Ma allo Sterminio il libro ci costringe, con la sua logica, ad entrare.

            Il testo si articola su due piani, uno documentaristico e uno critico di diverso ma egualmente inscindibile valore.

            Il libro si compone di due saggi di autori tedeschi, saggi raccolti sotto un unico titolo che suona così: La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore – La sua estensione e le sue forme.

            Il primo saggio (Esposizione giuridica) è dovuto alla penna di Karl Binding, un giurista di fama la cui opera fondamentale (Compendio di Diritto penale, ed. italiana Roma 1927) è spesso citata da penalisti italiani. Il secondo (Osservazioni mediche) è opera del medico Alfred Hoche. Di lui e della sua carriera si può sapere dalle note a pag. 7 del libro che sto per commentare.

2.

Un a terza parte – che deve occupare un posto centrale nell’attenzione dei lettori – è costituita dall’Introduzione di Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti, introduzione dal titolo inquietante: L’uovo del serpente. Il manifesto di Binding e Hoche.

            È davvero un’introduzione di alto livello: informativo e critico. Due direzioni affrontate e curate con estrema precisione e penetrazione. Credo sia indispensabile che la lettura di essa preceda – come dovrebbe essere per ogni introduzione – quella dei saggi originali dei due autori.

            Dico questo perché – a parte la già rilevata funzione connaturale ad ogni introduzione – i saggi di Binding ed Hoche presentano indagini su campi di esperienza specifiche relativamente impermeabili al comune linguaggio. Sono saggi che presentano qualche difficoltà. Non perché intenzionalmente oscuri ma perché attinenti a temi complessi illustrabili, necessariamente, con linguaggi in parte specialistici. Va detto che gli autori sono – per quanto possibile – molto chiari nel porre premesse e logici nel trarre determinate conseguenze.

            L’introduzione soddisfa le due esigenze fondamentali per la comprensione dei saggi: ne spiega, infatti, le rispettive logiche (giuridica e medica) e ne svela le derive umane che fanno uscire, dall’uovo delle premesse, il serpente delle conseguenze.

3.

Il cammino tra uovo e serpente (per continuare nella metafora) presenta nei due saggi una diversa dimensione tipografica. Quello di Binding ha un numero di pagine (da pag. 46 a pag. 74) di molto superiore a quello occupato dal saggio di Hoche. La differenza non è casuale. In un certo senso il medico non è responsabile della morte del paziente: la morte è inevitabile e ad essa non si può ordinare nulla. Il medico si occupa – per quanto gli è possibile – di indicare le cure per prolungare la vita. E ciò gli basta. Il giurista si occupa delle misure (norme cogenti) dirette ad assicurare che la vita di un uomo non sia spenta da un altro uomo. In questo cammino incontra svariati problemi. Se si individua la causa della morte in un soggetto umano, cui si può comandare qualcosa, il campo dell’intervento su tale oggetto si estende. Si deve comandare di non uccidere? Tale “comandamento” ha dei limiti? Si può concepire che un uomo sia la causa involontaria della morte di un suo simile? In che senso e con quali conseguenze? Ci si deve occupare dell’omicidio di sé stesso (suicidio) e in che modo? Tra questi interrogativi il giurista si muove ponendo distinguo, definendo condizioni e limiti, bilanciando in varia misura gli interessi in conflitto. Non per nulla si parla di jurisPRUDENTIA. Ma l’agguato del rettile è presente anche nel pensiero del giurista seppure velato da osservazioni oblique e da prese di posizioni ambigue. Tale è l’andamento del saggio di Binding. Ma l’autore conclude a pag. 78 con un interrogativo circa la praticabilità dell’uccisione di un soggetto la cui vita sia SENZA VALORE (pag. 67). La pregevole introduzione De Cristofaro e Saletti pone in luce gli inciampi insiti nel punto interrogativo che “il prudente Binding” utilizza e che si affretta a coonestare con una citazione di Shakespeare (“nostro contemporaneo” lo chiama J. Kott, letterato e critico polacco). Si veda Re Lear atto V, scena III.

            Meno prudente il medico Hoche – che non può comandare alla Morte – termina il proprio pensiero (svolto da pag. 75 a pag. 89) con l’elaborazione del concetto di “nato inadatto alla vita” rispetto al quale una imprecisata età remota – “che noi oggi riteniamo barbara” – “riteneva naturale l’eliminazione”.

4.

È questo un punto centrale della meditazione dei due autori posto che – a ben guardare – anche il “prudente Binding” si lascia andare ad una espressione equivalente e, sotto l’aspetto linguistico, ancora più feroce (“esistenze-zavorra”: pag. 25). Le espressioni sono ramificazioni di una stessa premessa che è la formula “senza valore” e – più indietro – la nozione di “bene”, termine che è molto usato sia dai giuristi che dagli economisti.

            Qui l’“imprudente” Hoche si esibisce in una vera e propria “contabilità” (pag. 81 e 82) sui costi (improduttivi) delle esistenze-zavorra rappresentate plasticamente dalla vignetta a pag. 27. Non sfugge agli autori – che come ho detto sono dotati di un loro rigore logico – il problema della relatività del concetto di vita come bene ed è presente in costoro il problema riguardante l’identificazione dell’autorità che deve necessariamente decidere sulla relativa questione. Veniamo così a scoprire l’esistenza dello Stato (pagg. 70 e 81). Chi meglio dello Stato (cui i vecchi filosofi attribuivano la funzione di preservare gli umani dai mali dell’isolamento) potrebbe valutare l’interesse di tutti coloro che l’hanno concepito, voluto e costruito?

            Se l’interesse collettivo è stato quello che lo ha legittimato, è corretta la conseguenza che si elimini colui che a tale interesse oppone – in qualche modo e qualche forma – una sorta di resistenza.

            Il discorso – a questo punto – diventa molto più ampio coinvolgendo il problema “politico” se il potere dello Stato abbia, debba avere dei limiti, allorquando si invada in qualche modo la stessa esistenza individuale. Per quanto ci è specificamente proposto dal libro esaminato e dai suoi contenuti particolari, basterà osservare come il serpente, ormai fuori dal proprio guscio che lo ha nascosto e nutrito, si presenti insidioso in modo ancor più sottile e imprevedibile.

            Ogni società ha determinati “valori” che concorrono a determinarne l’identità. Se una società costruisce un modello di cittadino che, per essere propriamente tale, deve possedere determinati requisiti l’esito finale può essere il rifiuto sempre più pressante – da parte dello Stato, cui un certo modello appartiene –, di un modello diverso di cittadino. Il diverso diventa “inutile” alla costruzione e conservazione di un certo tipo di identità e va eliminato. Metto tra parentesi la questione (collaterale ma connessa, in certa misura determinante) sull’utilità di un simile modo di vedere nella soddisfazione di altri interessi. Per orientarsi in questo cammino – rispetto al quale l’Introduzione si presenta come un ipertesto di grande attualità – potrà essere molto utile la lettura di un’altra opera: Le origini culturali del Terzo Reich di G. L Mosse (Il Saggiatore, Milano 1988). Chiamo ipertesto l’introduzione di De Cristofaro e Saletti perché essa fa intravedere nella trama degli “inutili esplicitamente citati” “gli inutili impliciti”, gli uni e gli altri uniti – nel loro comune terribile destino – da una logica che sembra ferrea.

            Se il cristiano Dante avverte che il Demonio – personificazione del Male – ha una propria logica (Inferno XXVII., 121-123), l’ebreo Kafka fa gridare ad un suo personaggio: “La logica della legge è incrollabile ma non resiste ad un uomo che vuole vivere” (Il Processo, Frassinelli, Torino 1948, pag. 346).

 Milano 31 gennaio 2018


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